Pistoia. Roberto Marconato: “Di nuovo in campo…. per Kobe!”

Roberto Marconato, classe 1978, padovano di nascita, pistoiese d’adozione, ha iniziato a giocare che era appena un decenne nella squadra del suo Paese, è rimasto a Padova fino i 22 anni per poi spostarsi prima in Abruzzo e poi in Toscana.

Ed è qui, nella bella terra del vino, che Roberto ha messo le sue radici, diventando Capitano della sua amata squadra: Valentina’s Camicette Bottegone Basket.

Pilastro fuori e dentro il campo, il Capitano Roberto, è stato uomo decisivo nei momenti di maggiore difficoltà della sua squadra e un punto di riferimento per i giovani nello spogliatoio.
Nel giugno 2019, a malincuore, ha reso pubblico il suo ritiro dal mondo del basket. Aveva compiuto da poco 41 anni e sentiva l’esigenza di dedicarsi maggiormente alla sua famiglia e al locale che, insieme ad altri due soci Marco Bechi e Nicola Bongi, aveva appena preso in gestione: La Capannina di Bottegone.

Poi, d’un tratto, qualcosa è cambiato, e tornerà di nuovo a far parlare di sè sui campi da basket, tesserato per la società del Banathinaikos Pistoia, che si appresta ad affrontare la seconda fase del campionato di Prima Divisione.

“Non riuscivi proprio a stare senza la palla in mano, eh?!” gli ripetono in molti.
Ma lui fa spallucce. In realtà il mondo agonistico non gli mancava così tanto, quelle botte da orbi ad ogni ingresso in area rimanevano ormai un ricordo. Aveva ritrovato il suo equilibrio. Le serate nel locale, sua moglie Carolina sempre presente, la sua bellissima figlia Giulia. Qualche volta si andava ad allenare con gli amici, un po’ di palestra.

E allora…Perché hai deciso di scendere nuovamente in campo?
Sai Sara, la risposta non è così semplice. Mi sono concesso, dopo mesi di lavoro serrato, una settimana di relax totale insieme a mia moglie e mia figlia ad Oman. Sono stati giorni magnifici finchè, appena atterrato di nuovo in Italia, mi è arrivata la tragica notizia, un vero cazzotto nello stomaco: Kobe Bryant, 41 anni, è morto in un incidente in elicottero in California. Tra le nove vittime, c’era sua figlia Gianna Maria, 13 anni, astro nascente del basket femminile.
Erano le 4 di notte, rimasi fermo, immobile, pietrificato. Non ci potevo credere, non mi davo pace. Kobe era per noi un vero mito, una leggenda. Non aveva mai smesso di giocare, anche dopo aver subito gravi infortuni tornava sempre in campo, più forte di prima. Era tutto ciò che, un vero giocatore, avrebbe voluto essere. Era umano, vero, talentuoso, una forza della natura. I giorni passavano ma quel dolore no.
Poi, un pomeriggio di ritorno da scuola, mia figlia mi si avvicinò e mi dice “Sai papà che oggi le maestre hanno parlato di Kobe Bryan? Tutti quanti fanno qualcosa, nel loro piccolo, per ricordarlo. Perché non fai qualcosa anche tu per lui e Gianna?”
Rimasi sbalordito, quelle parole mi rimbombavano nella orecchie. Capì, quindi, che mia figlia aveva ragione: io potevo fare qualcosa per loro, non solo tornare a giocare ma scendere in campo indossando il numero 28: il 2 di Gianna e l’8 della leggenda del basket.

Vorrei tanto che sentisse ciò che ti sto dicendo: ”Si, torno in campo per lui.”
Certamente, in Prima Divisione, non potevo sperare che realizzassero una maglia apposta per me ma ho provato a telefonare ugualmente alla casa produttrice “È rimasto un solo completino ed ha il numero 23” mi hanno detto “se vuoi il 28 devi aspettare almeno quattro settimane e il minimo d’ordine sono 12 pezzi”.

Impensabile! Chiusi la conversazione, ma non mi diedi per vinto… il ricordo di Kobe mi rimbombava in testa come un tuono. Poi finalmente ebbi l’illuminazione: “caspita, basta far chiudere quel 3 e diventa un 8!”

Mi è sembrato che tutte fosse scritto, quasi un segnale per vedere quanto io ci tenessi davvero a realizzare tutto questo.
La pallacanestro mi ha dato tanto, è stata per anni e anni la mia vita, io so di aver ottenuto tutto ciò che volevo e potevo ma, questa serie di coincidenze mi hanno spinto ad andare oltre, con un obiettivo: far vincere il Campionato al Banathinaikos. Per due anni consecutivi lo avevano sempre dominavano per poi perdere in finale, quasi una maledizione.

Se c’è una cosa che ho sempre ammirato di Kobe è il concetto di resilienza, fulcro della Mamba Mentality e la costante volontà di non mollare mai.
Ieri 24 febbraio ho esordito, con il numero 28. Un lunedì si, perché le cose belle vengono aiutate dalle coincidenze e la partita è stata spostata dalla domenica 23 al lunedì 24, proprio l’ultimo numero con cui è sceso in campo Kobe. Abbiamo giocato bene, portato a casa una bella vittoria. Ho preso un sacco di botte e ora ho le gambe a pezzi. Ma soprattutto, ho scoperto che non era vero non mi mancasse la pallacanestro.
Sono felice e ho capito di avere tante persone intorno che mi vogliono bene. Un grazie speciale a Raffaele Gori, mio amico e grafico che ha disegnato appositamente per me il logo che ho sulla spalla e Giulia Lapini che mi ha aiutato a far diventare quel 3, un 8. Grazie perché mi hanno permesso di realizzare la prima parte di sogno. Ma grazie soprattutto a tutto il Banathinaikos, che mi ha accolto a braccia aperte e che mi darà la possibilità di realizzare la seconda parte dell’idea… quella che poi è anche il loro obiettivo: la vittoria di Campionato.
Io sono sempre stato un sognatore, credo nel destino e nelle belle storie… e sento che questa avrà un lieto fine.”

Sara Ferranti

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