La partenza e il primo giorno

Sono partita da casa che era ancora buio. Il mio caro amico Andrea e lui mi ha accompagnata all’aeroporto di Bologna. Quanti pensieri in quell’ora di macchina. Non avevo una vera e propria disponibilità di tempo, sapevo che entro un mese sarei dovuta tornare a casa, ma quando di preciso, non l’avevo ancora deciso. Non sapevo davvero se era la scelta giusta ma la famosa vocina interiore mi diceva di continuare anche se quella del signore Romano che avevo a sedere accanto in aereo, gli faceva una bella concorrenza “Ma perchè nun te ne vai in vacanza?Se vede che a lavorà nun te stanchi!”

In un certo senso lasciavo dietro di me lui e tutti quelli che guardavano alla mia impresa con un sorrisino scettico perchè ora era vero, sarei tornata a casa dopo un mese, forse cambiata, chi lo sa.

Volo un pò disturbato da alcune perturbazioni, ma l’arrivo a Bordeaux è stato più veloce del previsto. Sono arrivata in tempo per prendere la coincidenza con il bus che mi avrebbe poi portata alla stazione dei treni. Il primo era alle 18.00 quindi avevo più di sei ore per me, ho visitato la città e ho mangiato delle ottime cozze.

Alle 17.45 raggiungo nuovamente la stazione, mi fermo in uno splendido bar per bere qualcosa e la parete era tappezzata di bottiglie di vino. Ho pensato “beviamone un. calice và!”… si avvicina un pellegrino, un ragazzo giovane, piuttosto belloccio. Mi sorride, arriva al bancone e chiede al barista dell’acqua del rubinetto, da mettere nella sua borraccia. Ho pensato che, forse non avevo ben capito lo spirito del cammino… ma vabbè!

In treno per Bayonne ho realizzato per la prima volta che stavo andando lontano, per allontanarmi ancora. Ascolto alcune canzoni, un pò troppo strappalacrime e ripenso a Federico e alla nostra lunga storia d’amore. Era la prima volta, dopo tanti mesi, che pensavo a lui non con rabbia ma con tenerezza. In fondo ho sempre pensato che sarebbe finita, aspettavo solo il momento giusto per questo passo. Guardo fuori dal finestrino ed è tutto un fantasticare su cosa mi aspetta, sulle incognite e le speranze. Non parlo con gli altri ragazzi sul treno. Le parole confondono e nascondono, io ho bisogno di sentirla tutta la mia sofferenza, era l’unico modo che conoscevo per tramutarla. 

Le questioni pratiche passano in secondo piano, mentre coltivo proiezioni di me che cammino nei campi di grano, con le spalle larghe e la testa alta, come un’eroina della letteratura russa, come se non avessi mai fatto altro, come se fossi nata per quello.

In realtà ogni tanto il panico arrivava, guardavo il cellulare e mi chiedevo se Federico chiamerà. Forse speravo lo facesse, per una parola di conforto. Mi sentivo sola e impaurita ma la cosa giusta era che non lo facesse. Anche un pò debole, era più di un mese che non lo sentivo nemmeno per un saluto, e volevo continuare su questa direzione.

Me la facevo sotto, avevo paura di aver dimenticato qualcosa, controllavo ossessivamente il meteo, cosa piuttosto inutile perchè in viaggio ci si sposta di 30 km al giorno, cosa mai vuoi prevedere?

Arrivo a Saint Jean verso le 23.30, pioveva, una ragazza inglese mi si avvicina e insieme usciamo dalla stazione. Era buoi e credo di aver fatto talmente tenerezza alla signora a cui avevo prenotato il mio ostello per la prima notte, che ha tirato giù il marito dal letto e l’ha mandato a recuperarmi.. per fortuna. E’ stato il primo viso amico, di tanti.

So a cosa state pensando.. “ma come? tutta la menata sull’affrontare l’imprevisto e il mistero dell’avventura e poi prenoti l’ostello la prima sera?”

In realtà si. Gli ostelli alle 22.00 chiudono, tipo cenerentola quando la carrozza si trasforma in zucca allo scoccare dell’ora. Quindi ho prenotato prima, e ovviamente mi hanno aspettata. Oh, e poi il cammino è il mio e lo faccio come mi pare, va bene? 🙂

Insomma, Saint Jean Pied de Port mi accoglie in tarda serata , mollo lo zaino, preparo il letto e mi corico. Sono stremata ma, fatico a prendere sonno.

Sara

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