Montano: “A Tokyo sarò vecchio ma io ci provo lo stesso”

“Mi sto allenando, certo che mi sto allenando. Lavoro più con mia figlia Olympia che col mio maestro storico Bauer. Il problema è che ho finito il repertorio, non so più cosa raccontare. Balli, giochi, bambole, gli spostamenti del divano, i traslochi da una parte all’altra della casa. Scherma? Beh, Olympia, che ha tre anni, della scherma non ne vuole proprio sapere. Chissà come starò il giorno che rimetterò piede in pedana, ad agosto, a quasi 42 anni…”.

Aldo Montano, l’ultimo della dinastia che ha attraversato un secolo di scherma italiana, vive la quarantena a Roma in un appartamento in zona Piazza Cavour, a pochi passi dal Lungotevere. Esce una volta alla settimana per fare la spesa, alternandosi con la moglie Olga. Sta imparando a cucinare: “Sui primi sono fortissimo, ho provato col cacciucco che è livornese come me ma è troppo complicato con tutti quei tempi di cottura diversi a seconda dei tipi di pesce”. Non è più l’irrequieto campione che fece irruzione nelle cronache rosa dopo l’oro di Atene 2004. Tiene molto alla sua nuova famiglia, ha vissuto con saggezza il tira e molla sul rinvio di quella che sarebbe la sua ultima Olimpiade. Non sa nulla del futuro, quindi si lascia trasportare dal destino.

Montano, il presidente del Coni Malagò ha detto che a Tokyo ci saranno tutti i nostri campioni.
“Ho grande stima ed affetto per Giovanni. Uno sportivo vero, al di là del ruolo istituzionale, uno dei pochi che ne sa di tutte le discipline. Mi ha detto “ti porto a braccetto a Tokyo”. Scherzando, va bene. Ma un anno e mezzo è lungo, dipende da come starò, da quando si riprenderà l’attività. Sicuramente ci provo. Poi vediamo se sono in grado…”.
I

n fondo avete almeno quattro mesi a disposizione.
“E chi lo dice? Per capire come stiamo messi, la federazione mondiale ha preparato tre bozze di calendario: con inizio a settembre, novembre, addirittura gennaio. Ci stiamo preparando a vedere altri tornei annullati in un’altra stagione complicata. E pensare che noi da sempre indossiamo una maschera a protezione del viso”.

Quanta cautela, eppure il calcio sta pensando di ripartire tra poche settimane.
“Non vorrei che fosse prematura la scelta del calcio. Qualche contagio mi sembra che l’abbiano avuto. Hanno rimandato i Giochi olimpici e gli Europei. Certo, il calcio vive una situazione completamente differente rispetto ad altri sport, gli interessi sono ben diversi”.

Il sistema potrebbe crollare, si dice.
“Nel mondo calcistico puoi sopravvivere tre, cinque mesi, un anno, senza stipendio. Ma c’è gente, anche miei amici, che comincia a soffrire già adesso. O si pensa ad un’assistenza da parte dello Stato che stenta ad arrivare, o a una graduale riapertura. Se non arrivano gli aiuti da fuori, devi pensare a te stesso. Non si può chiudere all’infinito un Paese”.

Pensava mai di vivere una situazione come questa?
“Una pandemia la mia famiglia l’ha già vissuta. Da parte di mia madre ricordano ancora i parenti morti quando sull’Italia si è abbattuta la Spagnola”.

Quindi la quarantena la sta accettando?
“Quando l’allenatore dice di fare una cosa la si fa punto e basta, c’è poco da discutere. C’è da soffrire ancora parecchio, fa paura la rapidità di questo contagio”.

Come ha vissuto il rinvio di Tokyo al 2021?
“Come un pilota di MotoGp a cui dicono all’ultimo giro: “Ehi, la gara è stata aumentata di 40 giri”. Che faccio, posteggio la moto e me ne vado a piedi o stringo i denti? Un anno è tanto e poco, alla mia età però comincia ad essere parecchio. Certo, se avessi 25 anni avrei reagito in maniera totalmente diversa. A quasi 42 accetti le decisioni in una maniera più lungimirante, aperta a quel che sta affrontando l’umanità in questo momento”.

Che altro sta imparando?
“Dobbiamo toglierci la pesantezza del superfluo, e concentrarci su quel che serve alle persone. Ma già in passato avevo capito alcune dinamiche della vita. Forse sono ancora vivo perché una sera ho avuto fame prima del solito”.

In che senso?
“Nell’agosto di due anni fa, su un’isola di fronte a Lombok, in Indonesia, faccio a mia moglie Olga: “Perché non andiamo a cena subito invece di aspettare le otto?”. Eravamo nel giardino del ristorante quando c’è stata una scossa di terremoto, l’epicentro era proprio Lombok. Ricordo il dribbling tra le macerie per recuperare le valigie, la notte arrampicati su una collina, poi il raduno in spiaggia aspettando una barca che ci riportasse via. Un’odissea. Sono cose ti fanno apprezzare di più quel che hai”.

Se lo sogna ancora?
“Io no, ma mia moglie scatta ogni volta che c’è una vibrazione del bus che passa sotto casa, un rumore sospetto”.

A proposito di Olga, in questo periodo lei voleva imparare il russo, la lingua di sua moglie.
“Il problema è che mentre io stavo lì ancora con l’alfabeto cirillico, lei in tre mesi ha imparato l’italiano e addio”.

È vero che ha usato il traduttore durante il vostro primo incontro?
“Ero ai Mondiali di Mosca del 2015. Olga, che non è una schermitrice ma un’ostacolista, venne con un’amica e tutta la sera parlammo con Google Translate. Spasiba, karashó, così è cominciato tutto. E ora eccoci qua, con nostra figlia Olympia che distrugge casa”.

Chissà il Montano di 10-15 anni fa.
“Dopo l’oro di Atene litigai con chiunque, minacciai di andare via perché avevo la possibilità di ottenere una cittadinanza neozelandese veloce. Volevo lavorare col mio maestro Bauer, lo seguii anche a Pechino. Decisi di rimanere, innamorato della nostra patria acciaccata. Ma torneremo più forti di prima. Spero che facciano le mosse giuste per rilanciare quel che resterà dell’Italia”.

E se Montano ce la facesse ad arrivare ai Giochi nell’estate 2021?
“Sarebbe una chiusura degna di un vita sportiva fatta di alti e bassi, bello e brutto, noia e gioie, l’ultimo pezzettino di un puzzle di cui non cambierei niente. Ogni malformazione, ogni pezzo strano combacia col resto del puzzle. Anche quest’ultimo pezzo storto, irregolare, potrebbe entrare. Vediamo se mi resta in mano, o se riesco a rimetterlo a posto”.

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