Cristiano Varotti e il sogno della Grande Cina

Era il 2005 e Cristiano Varotti, novafeltriese DOC, nel bel mezzo dei suoi studi universitari a Firenze. Di sogni ne aveva già tanti ma era molto distante dal mettere a fuoco cosa sarebbe successo dopo, nella sua vita. Nell’aprile di quell’anno ebbe però l’opportunità di seguire suo padre in Cina, aggregandosi a una piccola delegazione diretta a Pechino e Shanghai con l’obiettivo ancora pionieristico di promuovere l’Italia sul giovane mercato turistico del gigante asiatico.

Sono passati quindici anni esatti, da quella primavera, ma le istantanee di quella esperienza hanno ancora contorni ben definiti per lui. Sono impresse a fuoco in qualche posto in cui il tempo non significa poi molto.

Negli anni precedenti aveva già avuto la fortuna di girare il mondo prendendo parte ad iniziative di quel genere. Grazie a suo papà, sin da bambino camminava per le fiere del turismo a Berlino, a Mosca, e aveva la sensazione che il mondo intero fosse concentrato in quei padiglioni.

“La mia infanzia è stata un pò diversa, per certi aspetti, da quella dei miei coetanei. Viaggiavo molto, grazie al lavoro di papà. Mi immergevo nelle fiere, bastava girare l’angolo e cambiavo continente. Durante l’inverno ero l’incubo delle agenzie di viaggio, entravo e portavo via tutti i depliant delle destinazioni turistiche.”

Nessuno ha mai avuto granché da eccepire, anche se sapevano che quel bambino avrebbe viaggiato solo con la fantasia. A lui interessava tutto, avrebbe voluto vedere tutto. Eppure la Cina, durante quella settimana di aprile, lo colpì a tradimento e in maniera così forte, che nessun altro posto sarebbe stato alla sua altezza.

“Ricordo una sensazione, mentre la macchina riportava la delegazione in aeroporto” dice quasi commosso “la certezza irrazionale che non sarebbe finita lì. Che, nella mia storia, la Cina avrebbe avuto un ruolo fondamentale. E ricordo che, impressa nella mente, avevo un’immagine ben precisa. Non la Grande Muraglia, distesa come un serpente sulle colline brulle spazzate dal vento. Non l’austera geometria di Piazza Tienanmen o gli spazi della Città Proibita. Ciò che mi rimase ficcato nel cervello fu invece la quiete di un tempio taoista circondato dai grattacieli futuristici di Shanghai, il suo giardino fiorito e i riflessi del sole tra i platani. Una specie di epicentro di pace attorno a cui vorticavano milioni di vite. Quell’immagine è rimasta, ma per tutti questi anni sono svaniti i dettagli.”

Cristiano in Cina, è andato poi a vivere, 8 anni fà. Dal 2012, spesso ha ripensato al tempio e all’ispirazione che seguì quella visita, ma con poca nitidezza e senza poter collocare le immagini nello spazio.

E la svolta quando è arrivata?

Sorride, e gli si illuminano quei bellissimi occhi azzurri che da sempre, da quando eravamo ragazzi, hanno faticato a nascondere le sue emozioni.

“La svolta… Hai usato la parola giusta. Alcuni giorni fa, camminando per le strade di una Shanghai finalmente piena di vita, mi sono trovato a passeggiare in un cortile accanto ai pochi frammenti rimasti delle mura della città vecchia. Ed ecco che le immagini hanno improvvisamente ritrovato il loro contesto e ho riscoperto il luogo che, senza muoversi di un millimetro, mi s’era infilato sotto pelle quindici anni prima. Eccolo, era lì, davanti a me. Il Tempio taoista della Nuvola Bianca (白雲觀 Baiyun Guan) circondato dai palazzoni di vetro che ormai non sembrano più tanto alti, e neppure tanto nuovi. Forse per colpa di questa maledetta epidemia, il tempio è ancora chiuso ai visitatori. Mi sono quindi dovuto accontentare di averlo scoperto, salutandolo con affetto come si conviene quando si ritrova un vecchio amico. D’altronde, se proprio si deve ricercare una causa in quello che succede, buona parte delle cose accadute in questi ultimi otto anni nascono proprio lì, tra le mura di quel tempio. E non mi sembra faccenda da poco.”

Sara

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