«Errore lasciar morire l’economia per battere il virus. Bisogna ripartire»

Giovanni Cagnoli, imprenditore e fondatore di Bain Italia, ha un piano per tornare al lavoro prima che la chiusura delle aziende si trasformi in una recessione catastrofica.

Quella di Giovanni Cagnoli è una delle poche voci in Italia che si sono sollevate per porre con la dovuta autorevolezza qualche problema sulla strategia scelta dal governo Conte per affrontare l’emergenza coronavirus. Sicuri che restare tutti tappati in casa finché non passerà il contagio sia ineluttabile? E quando ripartirà l’economia? Soprattutto, con l’economia in ginocchio, chi coprirà i costi della crisi sanitaria, visto che l’Europa non sembra intenzionata a farsi carico comunitariamente dell’enorme esborso necessario a portare avanti il lockdown?

Fondatore in Italia e amministratore delegato fino al 2017 di Bain & Company, una delle società di consulenza più importanti al mondo, attualmente presidente di una holding (Carisma) con 14 aziende e oltre mille dipendenti, Cagnoli ha qualche idea di come gira l’universo dell’impresa. Martedì 24 marzo è uscito sul Corriere della Sera con una proposta per la ripresa delle attività che ha fatto discutere.

La tesi è che sia difficile sperare di sconfiggere il virus con l’isolamento, senza contare che questo obiettivo potrebbe esigere un tempo tale da radere al suolo tutta l’economia. Meglio organizzarsi per rimandare appena possibile i giovani al lavoro, continuando a proteggere gli anziani, più vulnerabili al morbo. Inutile aggiungere che l’idea, argomentata sul Corriere con tanto di cronoprogramma, ha attirato sull’autore anche molti insulti da parte del popolo dell’#iorestoacasa. Ma probabilmente questo Cagnoli lo aveva messo in conto. E infatti, per nulla scosso, con Tempi ribadisce, motiva, conferma tutto.

In sintesi, in cosa consiste la sua idea?

Io parto da un dato: i contagi da coronavirus nella realtà sono molti di più di quelli che vengono dichiarati quotidianamente. Sono 10 o anche 20 volte tanto. In Lombardia potrebbero essere un milione, non i 40 o 50 mila ufficiali. Siamo ben oltre il punto di non ritorno. Questa epidemia purtroppo non è più contenibile seguendo i metodi della Corea del Sud o di Singapore, che sono i primi della classe. Secondo dato: è scientificamente provato che la forma più grave e letale del Covid-19 colpisce soprattutto, in modo disproporzionato, le fasce di età più avanzate. Da queste due osservazioni ne deriva una terza, evidente per inferenza logica: la protezione va applicata agli anziani in modo più che proporzionale.

In sintesi, in cosa consiste la sua idea?

Io parto da un dato: i contagi da coronavirus nella realtà sono molti di più di quelli che vengono dichiarati quotidianamente. Sono 10 o anche 20 volte tanto. In Lombardia potrebbero essere un milione, non i 40 o 50 mila ufficiali. Siamo ben oltre il punto di non ritorno. Questa epidemia purtroppo non è più contenibile seguendo i metodi della Corea del Sud o di Singapore, che sono i primi della classe. Secondo dato: è scientificamente provato che la forma più grave e letale del Covid-19 colpisce soprattutto, in modo disproporzionato, le fasce di età più avanzate. Da queste due osservazioni ne deriva una terza, evidente per inferenza logica: la protezione va applicata agli anziani in modo più che proporzionale.

Lei propende per accettare il rischio di qualche contagio in più.

Provo a semplificare. Chiudendo tutto per 4-6 mesi è probabile che il contagio si azzeri, peccato che con l’economia chiusa per 4-6 mesi il paziente “economico” morirà, o il costo per tenerlo in vita sarebbe esorbitante. Bisogna trovare un equilibrio. È una scelta delicatissima, ma va fatta adesso. Come ha ricordato Mario Draghi sul Financial Times, la base imponibile, ossia le tasse che tengono su tutto, deriva dall’economia. Se salta la base imponibile di questo paese, non ci salveremo di sicuro e il costo sociale sarà davvero insostenibile e purtroppo concentrato sulle fasce più deboli, soprattutto i pensionati.

Ma lei è sicuro che il contagio sia ormai troppo diffuso per essere davvero contenuto?

Mancano dati, quindi la sicurezza scientifica non esiste purtroppo. Però sembra che a Bergamo assisteremo presto a una diminuzione dei contagi. Non perché l’epidemia sia stata controllata, ma perché ormai non resta più molta gente da infettare. Questa almeno è la mia previsione, o meglio sarebbe dire allo stato attuale la mia grande speranza. In ogni caso nei prossimi 7-10 giorni questo sarà più chiaro e si potranno fare valutazioni migliori. Decisivi i test anticorpali, cioè i test che ci dicono quanti hanno “fatto” il coronavirus, sia sintomatici che poco sintomatici che completamente asintomatici.

Pensa che a Bergamo abbiano tutti il coronavirus?

Penso che a Bergamo sia stato infettato più del 50 per cento della popolazione. Non ne ho certezza, ovviamente. Tra 10 giorni si avrà un quadro molto più chiaro anche scientificamente. Se il quadro fosse diverso da quello che io ipotizzo, si devono fare valutazioni diverse. Anche molto diverse da quelle che io faccio oggi. Ma il mio pensiero è che dobbiamo imporci di fare queste valutazioni in ogni caso. Ad oggi dall’analisi dei dati discendono alcune conclusioni. Il virus ha fatto saltare molte, direi tutte, le previsioni. Se i dati fossero tra 10 giorni diversi o molto diversi si rifanno le analisi e si prendono decisioni coerenti. Per capirci: se a Bergamo gli infetti fossero non il 50 ma il 10 per cento della popolazione, purtroppo il quadro sarebbe molto, molto peggiore, e bisognerebbe spostare tutto più in là con i relativi costi e decisioni ancora più difficili. Ma resta fermo un principio base: gli anziani sono più esposti e vanno protetti molto di più. Questo non cambierà.

Come fa a essere così convinto che i dati ufficiali siano sbagliati?

Faccio un semplice ragionamento. Primo, ormai i tamponi li fanno solo alle persone che manifestano chiaramente i sintomi del virus, e nemmeno a tutte. Secondo, in tutto il mondo gli studi attestano l’esistenza di una quota conclamata di contagiati asintomatici compresa tra il 50 e l’80 per cento. Terzo, prenda i dati relativi ai contagi per fasce di età, sono decine i paesi che li pubblicano. Noterà che la distribuzione è sempre omogenea: il virus piglia tutti, non solo gli anziani; anzi, la fascia di età più colpita è quella compresa tra 40 e 50 anni. Invece i contagiati italiani, stando ai dati ufficiali sono quasi tutti oltre i 60 anni. Vuol dire che questi dati non rappresentano la totalità dei contagiati, ma le persone a cui fanno il tampone, che è diverso, quindi sono dati sbagliati. Idem per il nostro tasso di mortalità: non descrive i decessi in relazione alla totalità dei contagi, ma i decessi rilevati sui contagi rilevati. Su questo esistono studi in tutto il mondo e sono tutti concordi.

L’emergenza negli ospedali lombardi, però, non è un dato sbagliato.

Assolutamente no, certo. L’opposto. È un dramma epocale. È un dato oggettivo e a sua volta sottostimato, perché le persone colpite da Covid-19 sono state anche di più di quelle rilevate. Ma il contenimento era una discussione da fare molto tempo fa. Adesso, ripeto, è stata tragicamente superata. Sottolineo tragicamente. Ma prendiamo una provincia come Verona: lì ci sono, se non sbaglio, circa 1.300 contagiati. Visto che è in Veneto, dove sono stati eseguiti più tamponi che nel resto d’Italia, supponiamo che il moltiplicatore sia più basso: mettiamo che i contagi reali siano 5 mila, di cui circa 4 mila ignoti. Quattromila individui infettati e infettivi che non sanno di esserlo: come evitiamo che non ne contagino altri? Anche sotto regime di isolamento, la metà delle persone esce comunque di casa, anche solo per fare la spesa. Poi ci sono tutti quelli che fanno lavori ineludibili: alimentari, acqua, luce, trasporti, ospedali… Solo nella provincia di Verona potrebbero essere 2.000 contagiati che si muovono senza sapere di essere contagiati. Meno infetti, certo, dei contagiati sintomatici, ma sono duemila: ne discende che il contenimento avrà risultati definitivi solo tra molto, molto tempo. E poi realisticamente avremo nuovi focolai e si dovrà contenere di nuovo, e via di questo passo per 12-18 mesi. La Cina ha chiuso totalmente Wuhan e ha mandato cibo, medici, infermieri, medicinali, esercito. Ma l’Italia è densamente popolata, non possiamo permetterci questo lusso. Dobbiamo tenere aperto qualcosa, anzi molto più di qualcosa, se vogliamo mangiare e tenere aperti gli ospedali, che mi paiono esigenze ineludibili.

Insomma, come scrive nel suo articolo, a questo punto è «inutile parlare di picco», «meglio prepararci alla realtà dei fatti», ossia meglio adattarci a convivere con il nemico in casa.

Sulla base dei dati, io suggerisco di attivare misure ancora più drastiche per gli anziani, intendo una vera quarantena, e nello stesso tempo di rilassare progressivamente – e non certo domani mattina ma tra qualche settimana (non mesi però) – queste misure per la popolazione più giovane.

Un bel rischio.

Inevitabilmente per i giovani significa correre qualche rischio di polmonite, però non altro. Non credo che assisteremmo all’intasamento delle strutture ospedaliere, o meglio, potremmo reggere (con fatica) l’urto. Un urto che arriverà comunque secondo me prima o poi tra l’altro, perché non avremo un vaccino prima di 9-12 mesi, a essere molto ottimisti. Detto questo, ogni azienda deve assolutamente dotarsi di tutte le protezioni necessarie, e questo è vincolante. Nessuna protezione uguale nessuna riapertura. Oggi i pazienti in terapia intensiva sono per l’80 per cento anziani. E comunque tra un anno i danni all’economia derivanti dal blocco saranno fonte di uguale, anzi secondo me superiore, devastazione, morte, stravolgimento della vita. Piaccia o meno, oggi abbiamo ospedali con reparti di terapia intensiva solo perché abbiamo lavorato e pagato le tasse per questo. Mi piacerebbe fosse così anche tra 10 anni.

Non teme di apparire cinico?

Non sono cinico, sono realista. Un piccolo esempio. Un’azienda farmaceutica stava – stava, usiamo già l’imperfetto – facendo ricerca su farmaci importanti contro le malattie respiratorie. Farmaci salvavita. Ecco, gli studi adesso sono interrotti, e questo costerà vite. In questo caso non ci sono alternative purtroppo.

A colpi di lockdown totale e decreti da 25 miliardi di euro per aiutare famiglie e imprese, lei dubita che #tuttoandrabene.

Questi decreti sono largamente insufficienti, non dal punto di vista del contenuto, che è condivisibile, ma delle risorse che servono. Ai 25 miliardi bisogna aggiungere uno zero per arrivare a 250, e poi salire a 300 e anche oltre. Questo perché nei conti non si mette oggi, ma sarà inevitabile farlo alla fine, l’erosione della base imponibile che deriva dal blocco. Minori consumi generano minore Iva, minori accise, minori tasse sul lavoro e sulle imprese, una fortissima erosione che non può e non deve diventare strutturale.

Trecento miliardi se il blocco proseguirà fino a fine maggio, giusto?

Questo, come ho scritto, se inizieremo a sbloccare le attività progressivamente dalla fine del mese di aprile. Se andassimo avanti fino all’azzeramento del contagio, diciamo giugno o luglio o settembre, la cifra necessaria a coprire il danno per il paese per ovvia conseguenza salirebbe molto, probabilmente si avvicinerebbe a 500 miliardi.

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